Come la morte del fondatore di Wagner potrebbe cambiare le carte in tavola

Wagner e il futuro dopo Prigožin

, by Davide Emanuele Iannace

Wagner e il futuro dopo Prigožin
Foto: Информационное агентство БелТА, CC BY 3.0 <https://creativecommons.org/license...> , via Wikimedia Commons

La morte di Evgenij Prigožin era un evento che, per metà della comunità internazionale e degli esperti, era già scritto nella sacra roccia della volontà di Putin; per l’altra metà, il risultato di un colpo di forza geniale che aveva fatto uscire il signore della guerra mercenario, l’ex chef del Cremlino, fuori da una situazione a dir poco spinosa.

La conferma – data anche dalla medesima Wagner – sembra oramai indicare che l’aereo “schiantatosi” fosse quello che portava proprio il capo della PMC russa. Certo, si mormora sempre che possa tornare, che forse ha realizzato uno scambio di sangue con un corpo scelto ad hoc degno dell’ultimo Batman di Nolan, ma gli indizi sembrano suggerire che il sanguinario leader di una delle più problematiche armi di Vladimir Putin, insieme al suo secondo, sia volato dove le aquile non osano volare.

Non mancherà a molti fuori dai confini di Madre Russia. Prigožin, insieme al suo piccolo capo di stato maggiore a pagamento, è stata la spina nel fianco dei paesi europei e degli Stati Uniti; l’uomo che per anni ha portato avanti gli interessi moscoviti senza che la Russia muovesse un dito. Prima in Ucraina nel 2014, poi in Siria allo scoppio della guerra civile contro Bashar al-Assad, ancora in Africa. Dove le forze russe non arrivavano, Wagner calava con i suoi elicotteri e i suoi soldati, per la gioia di compagnie estrattrici e di signori della guerra locali.

Si potrebbe obiettare alla politica di Putin che, in barba agli insegnamenti di Machiavelli, l’aver dato così tanto spago – e con spago intendiamo rubli e risorse – ad una compagnia fondamentalmente privata, possa aver ingigantito il già non piccolo ego di una persona che, partita da una prigione russa, ha terminato la sua carriera in un complesso di grattacieli nell’hinterland moscovita. I successi militari che Wagner ha raccolto, spesso proprio laddove l’esercito regolare andava fallendo miserabilmente, più l’amicizia che ha legato Wagner a interessi e interessanti economici russi, hanno lasciato campo e spazio al tentato colpo di stato di pochi mesi fa.

Molti hanno provato a immaginare perché Prigožin si sia esposto così tanto contro la mano che gli ha dato cibo e osso per tanti anni, quasi un ventennio. Aveva davvero intenzione di prendere il potere contando sull’appoggio militare? Voleva eliminare la leadership militare russa che considerava di ostacolo per una sua scalata ai vertici dell’esercito? Aveva davvero uno spirito democratico molto, ma molto nascosto nel profondo? Difficile a dire le ragioni. Le conseguenze, quelle sono invece di maggiore interesse.

Ai tempi del colpo di stato, il primo effetto è stata la ritirata di Wagner dal fronte principale e la conseguente perdita di operatività delle forze d’invasione russe. Al contempo, lo spostamento in Bielorussia faceva pensare ad una futura manovra a tenaglia che, fino ad ora, non si è ancora realizzata.

La morte di Prigožin, però, rimane tutta un’altra storia. Insieme alla dipartita anche del suo socio in affari, Dmitrij Utkin, l’incidente aereo lascia la compagnia senza quei due leader carismatici che di fatto ne hanno gettato le fondamenta. Il futuro di Wagner, al netto della perdita dei due leader, appare quantomeno incerto fin dai tempi del colpo di stato fallito. Ufficialmente, le compagnie mercenarie e le PMC non sono legali in Russia. Non a caso, lo stesso Utkin aveva fondato gli Slavjanskij Korpus con base ad Hong Kong per sfuggire alle ferree regole russe sui corpi di sicurezza privati. Non sfugge ancora che è stata sicuramente l’amicizia personale di Prigožin a Putin ad aver permesso anche di reclutare ex-Spetnatz e GRU in Wagner. Ancora, l’amicizia dei due ha spalancato la porta fin dal 2014 di entrare nei teatri di maggiore interesse sia per Mosca che per diversi oligarchi, come in Centro Africa.

La complessa attuale situazione del Niger, ad esempio, sembrava essere un nuovo teatro ideale proprio per la vecchia Wagner.

Senza la sua leadership, il corpo mercenario sembra destinato a sparire. E questa è la prima possibile conseguenza della morte di Prigožin stesso. Senza un capo che sappia sia tenere le fila internamente che tessere le necessarie relazioni con gli attori russi e non-russi, che banalmente possono offrire impiego e spazio d’azione alla compagnia, la stessa è destinata a dissolversi e sparire. Se parte di Wagner può ancora essere reintegrata nell’esercito russo, è difficile immaginare ufficiali e regolari accettare di buon grado mercenari nella propria unità, al netto dell’abilità e dell’esperienza guadagnata nel tempo.

La scomparsa di un attore come Wagner non è una brutta notizia per l’Europa e per gli Stati Uniti. Al contrario. Per almeno quasi dieci anni, è stata l’invisibile lama russa ovunque fosse necessario andare senza che, proprio l’Europa e gli Stati Uniti, potessero alzare un dito contro. Non era l’unico strumento, ma si è rivelato terribilmente efficace e la politica estera russa risentirebbe non poco di non poterlo più sfruttare.

Un secondo scenario, che sarebbe più in linea con le attitudini di Putin, potrebbe essere la riorganizzazione di Wagner sotto una leadership semi-militare fasulla. Di ex-ufficiali o di ufficiali pronti a diventare ex, la Russia è piena. La sua utilità come strumento è grande, farla sparire uno spreco di potenziale umano e materiale. Molto più facile, possibilmente, passare a dei leader più malleabili che obbediscano più felicemente agli ordini del Cremlino. Wagner non sparirebbe, diventerebbe una Wagner 2.0 la cui efficacia sarebbe tutta da analizzare.

C’è infine la terza possibilità che vede Wagner cambiare bandiera, forse per paura della rimanente leadership di future ripercussioni dovute proprio al colpo di stato. Difficile, improbabile, ma mai impossibile.

Quello che ci rimane in mano, per quanto incredibile, è che la parabola di Prigožin sembra essere finita nel più classico dei metodi russi contemporanei – al posto di una finestra di un grattacielo, un aeroplano. Rimane che una delle compagnie mercenarie più rinomate del XXI secolo sia improvvisamente rimasta senza una leadership. Unica componente militare russa ad aver ottenuto una qualche vittoria di ritegno nei 18 mesi di conflitto con l’Ucraina, unico corpo russo con all’attivo diversi teatri tra Medio Oriente e Africa e spesso unico corpo sul territorio con vera esperienza militare. Esperienza dal valore incalcolabile, visto l’andamento del conflitto stesso.

Per l’Ucraina e la stessa Europa il naturale periodo di caos che sussegue, nonostante le stesse forze di Wagner non siano operative da mesi, è un momento vitale per dare qualche altro colpo al fronte e alla struttura di Putin. Se uomini come Prigožin, che hanno dovuto tutto alla leadership moscovita dell’ex-KGB, hanno trovato la forza, la volontà e i mezzi per mettergli i bastoni tra le ruote, difficilmente al Cremlino si respirerà un’aria pacifica e tranquilla.

Un buon momento per spingere, o per un accordo? La morte dei capi di Wagner certamente certifica che nessun debito rimane insoluto nella Mosca di Vladimir Putin, anche a distanza. Rimane anche indubbio, ora che la leadership militare va ritrovandosi sempre più indebolita e a corto di uomini capaci di guidarla. Putin lo sa. I risultati sul campo lo dimostrano. Rimane da vedere fin quando gli sarà possibile continuare in questo modo, e che pazienza avranno i cittadini europei di supportare ancora l’Ucraina al netto delle sconfitte russe, interne e no.

Certo, rimane il dubbio che Prigožin sia ancora vivo. Nulla è dato per scontato, non con personalità simili. Rimane ovvio che, qualunque sia il risultato finale, la pazienza di Putin per la leadership della sua personale armata di mercenari si è esaurita. Cosa vorrà dire questo per il futuro strategico nel teatro ucraino, è da vedere. Cosa, a sua volta, vorrà dire per la capacità di proiezione russa senza uno strumento che si è rivelato fondativo della maggior parte delle operazioni di Mosca fuori i propri confini negli ultimi anni, è ancora una volta in dubbio e motivo di differenti opinioni. Qualunque sia l’esito di questo omicidio - o tentativo di omicidio, dipende -, la politica estera russa e le sue capacità militari cambieranno drasticamente.

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